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Orsola
di
D'Annunzio Gabriele

 


I

Il viatico uscì dalla porta dellachiesa a mezzogiorno.

Su tutte le strade era la primiziadella nevesu tutte le case la neve. Ma in alto grandi isole azzurreapparivano tra le nuvole nevosesi dilatavano sul palazzo di Brinalentamentes'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria biancasulpaese bianco appariva ora subitamente il miracolo del sole.

Il viatico s'incamminava alla casa diOrsola dell'Arca. La gente si fermava a veder passare il preteincedente a capo nudocon la stola violaceasotto l'ampio ombrelloscarlattotra le lanterne portate dai clerici accese. La campanellasquillava limpidamente accompagnando i Salmi susurrati dal prete. Icani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti cessòdi ammucchiare la neve all'angolo della piazza e si scoprì la zuccainchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flaiano nell'arial'odore caldo e sano del pane recente.

Nella casa dell'inferma gli astantiudirono gli squillie udirono su per le scale il salire dei vegnenti.La vergine Orsola era sul lettosupinatenuta dallo stupore dellafebbreda una sonnolenza inertecon la respirazione frequente rottada i rantoli. Posava sul guanciale la testa quasi nuda di capellilafaccia d'un colore quasi ceruleoove le palpebre erano semichiusesopra gli occhi vischiosi e le narici parevano annerite dal fumo. Ellafaceva con le mani scarne piccoli gesti incertivaghi conati diprendere qualche cosa nel vuotostrani segni improvvisi che davanoquasi un senso di terrore a chi stava da presso; e nelle bracciapallide le passavano le contrazioni dei fasci muscolarii sussultidei tendini; e a volte un balbettamento inintelligibile le uscivadalle labbracome se le parole le si impigliassero nella fuligginedella linguanel muco tenace delle gengive.

Nella stanza si faceva quel silenziotragico che suole precedere gli avvenimenti supremiun silenzio doveil respiro dell'inferma e i gesticolamenti incerti e le irruzionirauche della tosse aggravavano l'attesa della morte. Dalle finestreaperte entrava l'aria pura ed uscivano le esalazioni della malattia.Un vivo baglior bianco si rifrangeva dalla neve coprente i cornicionie i capitelli corintii dell'Arco di Portanova; il fiore cristallinodei ghiaccioli scintillava d'iridi all'altezza della stanza.Nell'internosu le pareti pendevano grandi medaglie sacre d'ottoneimagini di santi. Sotto un vetro una Madonna di Loreto tutta nera ilvolto il seno le bracciacome un idolo barbaricoluceva nella suaveste adorna di mezzelune d'oro. In un angoloun piccolo altarecandido portava un vecchio crocifisso di madreperlatra due boccaliturchini di Castelli pieni d'erbe aromatiche.

Camillala sorellal'unica parentepresso al lettopallidissimatergeva le labbra nerastre e i dentiincrostati dell'inferma con un lino umido di aceto. Don Vincenzo Bucciil medicosedutoguardava il pomo d'argento della bella mazzalebelle corniole incise ch'egli aveva negli anelli delle ditaaspettando. Teodora La Ieceuna tessitrice vicinastava rittainsilenziotutta intenta nell'atteggiare a dolore la faccia bianca elentigginosagli occhi d'acciaiola bocca crudele.

- Pax huic domui - disse il preteentrando. Apparve all'uscio Don Gennaro Tiernolunghissimo e smilzosu piedi enormicon i movimenti di un bruco che si snodi. Venivadietro di lui Rosa Catenauna femmina che avea fatto pubblicaprofessione d'impudicizia al suo tempo verde e che ora si salvaval'anima assistendo i moribondilavando i cadaverivestendoli eaccomodandoli nella barasenza prender mercede.

Nella stanza di Orsola tutti erano inginocchiochini la faccia. L'inferma non udiva; una stupefazioneintensa le teneva ancóra i sensi. E l'aspersorio si levò su di leilucido nell'ariaaspergendo il letto.

- Asperges meDominehyssopoetmundabor...

Ma Orsola non sentì l'ondapurificatrice che la rendeva più bianca della neve innanzi al suoSignore.

Ella stirava davanti a sé con le ditafragili le coperteaveva un moto tremulo nelle labbranella gola ilgorgoglio della parola che ella non poteva profferire.

- Exaudi nosDomine sancte...

Allora uno scoppio di pianto risonòfra le parole latinee Camilla nascose nella sponda del letto lafaccia rigata di lacrime. Il medico s'era accostato e teneva fra ledita inanellate il polso di Orsola. Egli voleva scuoterlaapprestarlaa ricevere il Sacramento dalle mani del sacerdote di Gesù Cristofare che ella porgesse la lingua all'ostia.

Orsola balbettògesticolò ancóravagamente nel vuotomentre la sollevavano su i guanciali. Ella nonudiva se non un tintinnìo nei nervi dell'orecchio perturbatiatratti un gridìoa tratti una musica. Come fu sollevatasubitamenteil rossore livido della faccia si mutò in un pallore di cadavere; lavescica di ghiaccio cadde dalla testa sul lenzuolo.

- Misereatur...

Porse ella finalmente la linguatremantecoperta d'una crosta mista di muco e di sangue nerastrodove l'ostia vergine si posò.

- Ecce agnus Deiecce qui tollitpeccata mundi...

Ma ella non ritirò la lingua a quelcontattoperché non aveva conscienza di quel che faceva; lostupidimento non era rotto dal lume dell'Eucaristia. Camilla guardavacon gli occhi rossi pieni di terrore e di dolore quella faccia terreadove ogni segno di vita mancava a poco a pocoquella bocca aperta chepareva la bocca di uno strangolato. Il prete seguitavanella solennitàdel suo ministeriole preghiere latine lentamente. Tutti gli altririmanevano genuflessisotto il diffuso albore che fuori dalla nevesuscitava il meriggio. L'odore del pane caldo salì col vento e fecefremere le papille del naso ai clerici.

- Oremus!...

Agli eccitamenti del medico Orsolarichiuse le labbra. La riadagiarono supina; poiché il prete entravanel sacramento dell'Estrema Unzione. I clerici genuflessi ripetevanosommessamente l'antifona dei sette Salmi penitenziali.

- Ne reminiscaris.

Teodora La Iece metteva di tratto intratto un singulto soffocatocoperta il volto con le palmea' piedidel letto. Rosa Catena stava rittaaccantocon un occhio semichiusoda cui le colava di continuo un liquido giallognolo e con l'altroocchio cieco e bianco per un'albùgine; scorreva un rosariomormorando. E mentre i Salmi sommessamente dal pavimento si elevavanosu quel mormorìo confuso dominava la formula sacra del prete ungentein croce gli occhigli orecchile naricila boccale manidell'inferma inerte.

-...indulgeat tibi Dominus quidquid pergressum deliquisti. Amen.

Fu Camilla che scoperse i piedi dellasorella: apparvero tra le coperte due piedi giallisquamosilividinelle unghieche al tatto davano un ribrezzo di membra morte. E suquella pelle secca le lacrime cadderosi mescolarono con l'unzioneestrema.

- Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrieeleison. Pater noster...

L'unta del Signore stava ora immobilerespirandocon gli occhi chiusi dinanzi alla lucecon le ginocchiasollevate e le mani strette fra le coscenell'atteggiamento abitualedei tifosi. E il pretepoi ch'ebbe premuto su le labbra di lei perl'ultima volta il crocefissofatto il segno della croce alto in mezzoalla stanza con la gran manouscì seguito dai clerici. Vagava ancóranella stanza quell'odore svanito di incenso e di cera che hanno levesti sacerdotali. Fuorisotto le finestreMatteo Puriellomartellava le suolacanticchiando.

II

I segni del male declinavano lentamentein favore: succedeva ora il quarto settenariosuccedeva ora al soporestupido la quiete naturale del sonnouna quiete durevole in cui apoco a poco tutte le perturbazioni della conscienza si sedavano e lefacoltà del senso si facevano meno torbide e la frequenza dellarespirazione diminuiva. Ma una tosse aspra scoppiava a tratti nelpetto dell'infermafacendo sussultare le vertebre; una distruzionedolorosa della pelle e dei tessuti molli si compiva ai gomitialleginocchiaall'estremità della schienadi giorno in giorno. QuandoCamilla si chinava sul letto chiamando: - Orsola! - la sorella tentavad'aprire gli occhidi volgersi verso la voce. Ma la debolezza laopprimeva; lo stupore torpido le occupava di nuovo il senso.

Ella aveva fameaveva fame. Una bramosìabestiaie di cibo le torturava le viscere vuotele dava alla boccaquel movimento vago delle mandibole chiedenti qualche cosa damasticarele dava talvolta alle povere ossa delle mani quellecontrazioni prensili che hanno le dita delle scimmie golose alla vistadel pomo. Era la fame canina nella convalescenza del tifoquellaterribile avidità di nutrimento vitale in tutte le cellule del corpoimpoverite dal lungo malore. Una scarsa onda di sangue restava a penacircolante pei tessuti; nel cervello debolmente irrigato ogni attivitàristagnava come in una macchina a cui la forza motrice del liquidodifetti. Soltantoin quella materia disordinatamente ora siproducevano certe vibrazioni determinanti certi atti che nella vitaanteriore erano abituali; né di quel lavorio meccanico aveva laconvalescente conscienza. Ella per lo più diceva ad alta voce lelitanie; divideva in sillabe parole senza senso; minacciava punizionia discepoli; cantava le strofe quinarie di un inno a Gesù. Aveva perlo più nell'indice della mano sinistra un moto di indicazionescorrente su l'orlo del lenzuolocome se ella con quel segno guidassel'occhio dei discepoli su le righe del libro. Poitalvoltala suavoce si sollevavaprendeva una solennità quasi minacciosapronunciando le ammonizioni delle sette trombericordandoconfusamenre le parole di fra Bartolomeo da Saluzzo ai peccatoriavendo forse negli occhi stupefatti la visione di quelle vecchiestampe impresse dal legno piene di deformi angeli tubanti e di demoniidebellati. Ma negli occhi non mai aveva uno sguardo. Le palpebrepesanti coprivano l'iride a metàquell'iride senza colore spersanella sclerotica che pareva come velata da un muco giallastro. Ellastava nel suo letto distesacon il capo su due guanciali. Quasi tuttii capelli le erano caduti nella malattia; un pallor terreodi queipallori sotto cui pare non anche possa rimanere la vitale occupavala facciale cavità della faccia; e il teschio ne trasparivae datutta la restante aridezza della pelle lo scheletro trasparivaeintorno a tutto quell'ossame nei punti di pressione sul letto itessuti aderenti degeneravano. Soloun'immensa fame animava quellarovinatorturava gl'intestini ove le ulcere tifose si cicatrizzavanolentamente.

Fuoriera la novena di Natalelabella festività de' vecchi e de' fanciulli. Erano certi vespri chiarie rigidisotto cui tutto il paese di Pescara si popolava di marinarie si empiva dei suoni delle zampogne. L'odore acuto delle zuppe dipesce si propagava nell'aria dalle cantine aperte. Lentamente allefinestrealle portenelle vie i lumi apparivano. Il sole indugiavaroseo su i terrazzi di pietra della casa di Farinasu i comignolidella casa di Memmasul campanile di San Giacomo. Le altezze illustridominavano come fari sul paese occupato dall'ombra. Poid'un trattola notte cominciava a constellare i firmamenti; sopra le case diSant'Agostinouna mezza luna si affacciava dal bastionetra ilfanale rosso e il pino del telegrafocrescendo.

Alla stanza di Orsola tuttaquell'animazione di vita saliva in un romorìo confuso di alveare chesi sveglia.

Le pastorali delle zampogne siavvicinavanodi casa in casadi porta in porta. Avevano unareligiosa e familiare letizia quei suoni che i ciociari di Atinatraevano da un otre di pecora e da un gruppo di canne forate. Laconvalescente udivasi sollevava sul letto; poiché quella sensazionele ridestava i fantasmi di altre sensazioni trascorsee gli occhi lesi empivano tutti di visione sacradi presepi raggianti e di bianchiperegrinaggi d'angeli in azzurri immacolati. Ella si metteva a cantarele lauditendendo le bracciarestando talvolta con la bocca apertamentre la voce negli organi le mancava; si metteva a laudare Gesù conuna elevazione ardente di amoretrasportata dai suoni delle pastoraliappressantisiallucinata dalle imagini sante delle pareti. Ascendevaai cielitra le musiche dei cherubinitra i vapori della mirra edell'incenso.

- Hosanna!

La voce le mancava. Ella tendeva lebraccia. Camillada pressovoleva riadagiarla su i guanciali; sisentiva come soggiogare da quel cieco entusiasmo di fede; le tremavanole manile labbra. Orsola ricadeva stesacon il capo abbandonatoscoperta la gola e il pettomostrando degli occhi solo il bianco nelgran palloresorridente a qualche cosa invisibilein unatteggiamento di vergine martire. Le zampogne passavano; tardipassavano le canzoni del vino urlate dai marinari nella notte tornantialle barche della Pescara.

III

L'istinto della fame si ridestavavivissimocome più chiara si faceva la conscienza. Quando dal fornodi Flaiano saliva nell'aria l'odore caldo del paneOrsola chiedeva;chiedeva con un accento di mendicante famelicatendeva la manosupplicandoalla sorella. Divorava rapidamentecon un godimentobrutale di tutto l'essereguardando d'intorno se qualcuno tentassestrapparle di tra le mani il ciboin sospetto.

La convalescenza era lunga e lentamagià un senso mite di sollievo comincia a spargersi per le membraaliberare il capo. Per quella sana nutrizione di albume e di carnemuscolare un sangue novello si produceva: i polmoni dilatati oralargamente dall'aria vivificavano il sangue carico di sostanze; e itessuti irrigati dall'onda tiepida e rapida si colorivanoricomponendosisi rinnovellavano nelle piaghe di decubitosiricoprivano di cute a poco a poco; e le attività cerebrali aquell'affluire operavano sicure; e le innervazioni negli organisensorii non più perturbate rendevano limpida la sensazione; e sulcranio i bulbi capilliferi rigermogliavano densi; e da quelriordinamento delle leggi meccaniche della vitada quel dispiegarsidi energie prima latenti che la malattia aveva provocateda quellaintensa brama che la convalescente aveva di vivere e di sentirsivivereda tuttolentamentequasi in una seconda nascitaunacreatura migliore sorgeva.

Erano i primi giorni di febbraio.

Dal suo letto Orsola vedeva la sommitàdell'Arco di Portanovai mattoni rossicci tra cui crescevano l'erbei capitelli sgretolati dove le rondini avrebbero appeso i nidi. Leviole di Sant'Anna nelle screpolature del fastigio non anchefiorivano. Il cielo sopra si apriva in una gentile beatitudine; e perl'aria a tratti giungevano dall'Arsenale gli squilli delle fanfare.

Fu allora chequasi con un senso dimeravigliaella riandò l'esistenza trascorsa. Le pareva quasi chequel passato non le appartenessenon fosse suo; una lontananzasmisurata ora la divideva da quei ricordiuna lontananza come disogno. Ella non aveva più la valutazione sicura del tempo; elladoveva guardare gli oggetti che la circondavanofare uno sforzo dellamenteraccogliersi a lungoper ricordare. Si toccava con le dita letempie dove i capelli rigerminavano tenuie un sorriso vago dismemorata le sfiorava le labbra pallidele fuggiva negli occhi.

- Ah! - susurrò fioca; e il gestodelle dita alle tempie le ritornavagentilmente.

Era stata una vita triste ed ugualeinquelle tre stanzefra tutte quelle piccole statue deformi di Santifra tutte quelle imagini di Madonnefra tutti quei bimbi compitantiin coro ad alta voce per cinque ore del giorno le medesime parolescritte col gesso su la lavagna. Come le martiri gloriose dellaleggendacome Santa Tecla di Licaonia e Santa Eufemia di Calcedoniale due sorelle avevano consacrata la loro verginità allo Sposocelesteal talamo di Gesù. Avevano mortificata la carne a furia diprivazioni e di preghiererespirando l'aria della chiesal'incenso el'odore delle candele ardenticibandosi di legumi.

Avevano stupefatto lo spirito inquell'esercizio arido e lungo di sillabazionein quel freddo distillìodi parolein quell'opra macchinale dell'ago e del filo su le eternetele bianche odoranti di spigo e di santità. Mai le loro manicercarono la dolcezza delle chiome infantiliil tepore di quel biondoangelico; mai le loro labbra cercarono la fronte dei discepoliin unaeffusione di tenerezza improvvisa. Insegnavano la piccola dottrinaipiccoli canti della religione; facevano prostrare tutte quelle testegioconde lungamente sotto le ammonizioni quaresimali; parlavano delpeccatodegli orrori del peccatodelle pene eternecon la vocegravementre tutti quei grandi occhi si empivano di meraviglia etutte quelle bocche rosee si aprivano allo stupore. Intornoper lefantasie vive dei fanciulli le cose si animavano: dal fondo dei vecchiquadri uscivano certi profili giallognoli di Santi misteriosi; e ilNazareno cinto di spine e di stille sanguigne guardava da ogni partecon gli occhi agonizzantiperseguitando; e su per la gran cappa delcamino ogni macchia di fumo prendeva una forma atroce. Cosìinfondevano esse la fede in quelle anime inconsapevoli.

Ora il ricordo di quella sterilità sidestò in Orsola torbidamente. Ella risalivarisaliva agli anni piùlontaniper una naturale tendenza dello spiritosi rifugiava allefonti; e una pienezza improvvisa di giubilo la inondò come se in unmomento tutta la sua infanzia le rifluisse al cuore.

- Camilla! Camilla! - chiamò. - Dovesei?

La sorella non risposenon eranell'altra stanza; era forse andata giùnella chiesaal vespro.Allora la convalescente fu presa dalla tentazione di mettere i piedi aterradi provare i passi sul pavimentocosìsola.

Rideva d'un riso timido di bambina cheesiti in un'impresa difficile; socchiudeva gli occhi soffermandosi nelnuovo diletto di quel pensieropalpava con le dita le ginocchialecaviglie esiliraccogliendosicome per misurare la forza; e ridevarideva poiché il riso le insinuava uno sfinimento dolceuna sottiledelizia vibrantein tutto l'essere.

Una freccia di sole strisciava suldavanzale e feriva l'acqua di un bacile in un angolo: il riflessomobile tremolava nella paretecome una fine trama di oro. Uno stuolodi colombi attraversò lo spazio e venne a posarsi su l'Arco; parve unaugurio. Ella pianamente scansò le coperteesitò ancóra: seduta sula sponda del letto cercava con la punta del piede scarno e giallo lapianella di lana. La trovòtrovò l'altra; ma ora una tenerezzasubitanea l'assaliva e le si empivano di lacrime gli occhie tuttotremolava dinanzi a lei in un albore indistinto come se le coseintorno si facessero aeree ed evanissero. Le lacrime le rigavano leguancele si fermavano alla bocca tiepide e salse: ella ne bevvealcunene sentì il sapore. Fuoridall'Arco i colombi a uno a due sirialzavanofrullando. Orsola con un moto delle fauci respinse ilgroppo del pianto; poi si poggiò su la spondapremettesi alzòfinalmente in piedi; sorrise dagli occhi umidiguardandosi. Nonsapeva di essere così deboledi non potersi così reggere diritta sule gambe; aveva una strana sensazione di formicolìo negli stinchidivellicamento nei muscoliquasi la sensazione d'un ferito che si leviquando l'osso infranto non anche è bene saldato. Tentò di muovere unpassoavanzò il piedetimidamente; ebbe paurasedette di nuovo sula spondaguardandosi in torno come per assicurarsi che non la spiavaalcuno. Poi cercò un punto di mètala finestra; e ricominciòpianamentecon gli occhi fissi sul piede che avanzavain equilibriostringendosi lo scialle verde al pettoinvasa un poco dal freddo. Unsubitaneo spavento la presea mezzo: ella barcollòagitò le manisi rivolse verso il lettomise tre o quattro passi precipitosiricadde su la sponda. Stette un momento làin affanno; rientròsotto le coperte dove ancóra restava il tepores'avvolse e siraccolse rabbrividendo.

- Come sono deboleSignore!

E guardava curiosa sul pavimento illuogo dove ella aveva fatto i passiquasi vi cercasse le orme.

IV

Di questo primo tentativo non dissenulla alla sorella. Quando sentì Camilla rientrarechiuse gli occhistette immobile come una dormienteprovando uno strano piacere in sédi quell'ingannoricacciando a forza indietro il riso che lavellicava a sommo del petto e le saliva alle labbra. Ella gioiva diquel piccolo segreto: tutti i giorni aspettava con un desiderioinquieto l'ora in cui Camilla scendeva le scale; restava un momento inascoltoseduta sul lettofin che giungeva il rumore del lentodiscendere; poi si levavasoffocando gli scoppi di risoappoggiandosi alle paretiai mobilimettendo gridi di paura sommessiogni volta che le ginocchia minacciavano di piegarsiogni volta chel'equilibrio mancava.

Dal forno di Flaiano a quell'ora salivaquasi sempre l'odore del pane ad irritarla. Ella si avvicinava allafinestra per cercare il vento; provava una tortura mista di voluttànell'aspirare quella emanazione sanacon la lingua nuotantenell'acquolina e gli occhi vivi di cupidigia. Allora la prendeva unafuria di frugare da per tuttodi mettere da per tutto le manitraendosi di qua di là con minore lentezzafacendo sforzi inutili eirosi su le serrature di cui Camilla aveva portato seco le chiavi. Unavoltain fondo al repostiglio di un tavolino trovò una mela e cificcò i denti golosamente. Da temponel regime severo dellaconvalescenzaella non assaporava un frutto. In quello era un frescoprofumo di rosail profumo che in certe mele aggrinzite e scoloritesi accoglie. Cercò di nuovo nel repostigliosperando; ma non trovòse non una specie di siliqua verdognolachiusache doveva contenereforse un gruppo di semi; e la presela guardò curiosamentelanascose sotto il guanciale.

Passava così quell'orain segretocon il godimento acre che danno ai fanciulli in guarigione le coseproibitele infrazioni degli ordini dottoralii piccoli furti. Solotestimone era un miciotutto maculato come una pelle di serpentechegirava talvolta intorno a Orsola con un miagolìo familiare o sifermava teso invano a ghermire se fuori volavano su l'Arco i colombi.A poco a poco Orsola prendeva amore a quel compagno discreto. Ella loaccoglieva nel tepore del lettogli susurrava parole senza nessologuardava lungamente leccarsi con la lingua rosea la zampaporgere lagola di lucertola alla blandiziauna gola gialliccia che palpitavad'un suono rauco e dolce simile al tubare delle tortore nei boschi.Ellaforse per un naturale ricorso di quel suo misticismo anterioreamava i bagliori tralucenti dagli occhi dell'animale nella penombraquegli sprazzi di fosforoche emanavano da una forma misteriosa esilenziosa nella tenebra.

Camilla vedeva tutte queste stranepredilezioni della sorellacon una specie di diffidenza ed anche dirammarico sordoma taceva. E lentamentequasi insensibilmentequelle due anime si distaccavanosi allontanavano per repulsa.

Erano prima vissute in una comunione diabitudini e di sentimenti continuaperché in loro ogni diversitàd'indole e ogni insorgimento si agguagliava e placava nell'unica fedenel culto infrangibile della deità di Cristoin quel contemplamentoch'era divenuto lo scopo della vita loro. Ma come il culto leassorbiva interein loro i legami della consanguineità a poco a pocoerano stati coperti e sopraffatti da quelli della comune religione;quindi non mai una espansione di tenerezza le aveva ricongiuntenonmai un abbandono di confidenza e di ricordi o di speranzecomesorelle. Erano correligionarieerano membri della grande famiglia diGesù spersi su la terra e agognanti il Cielo.

Così che a penaper la rinnovazioneoperata prima dalla malattia e dopo dal regimein Orsola simanifestarono inaspettati atteggiamenti d'indole e modi inconsuetilarepulsa avvenne inevitabile e la voce del comun sangue sopita non sipoté levare a contrasto.

V

I discepoli tornarono: fu la primavolta una mattina del marzo nascente. Orsola s'era levata dal letto;stava seduta su la spondacol calore del sole alla nuca ed agli òmeri.Nella stanza si sentiva l'odore agro dell'aceto che Camilla avevaversato nei calamai muffiti; e dalle finestre raramente il ventorecava gli effluvii delle viole già fiorite su l'Arco.

L'infanzia alitò nella stanza come unfiato di quel vento marzolino. Fu prima su l'uscio un sospingersitumultuoso di piccole teste che volevano sollevarsi le une su le altreper vedere; poi l'esitazionela timiditàuna specie di meravigliaingenua dinanzi alla maestra pallida pallida e scarna che i discepoliriconoscevano a pena.

Ma la vergine sorridevasotto unturbamento improvviso di tutto il suo sangue; li chiamava a séconfondeva i loro nomi che le si affollavano alle labbratendeva lorole mani. A unoa duea trei bimbi si avanzavanovolevanoprenderle le mani per metterci la bocca sopraridicevano le parole diaugurio imparate a casaingoiando per la furia le sillabe.

- Nononon più! - esclamava Orsolasopraffattama abbandonando le mani a quelle bocche tiepide e molli.Si sentiva quasi mancare.

- Camillatienilitienili.

Ogni bimbo recava un dono: erano fiorierano frutta. Le violette avevano sùbito sparso il profumo nell'ariae in quel profumoin quella luce tutte quelle facce infantiliinvermigliate dal buon sangue plebeo sorridevano.

Poi la lezionenell'altra stanzacominciò. La prima classe diceva a voce alta le vocali e i dittonghila seconda sillabava; e su quel coro chiarissimo a tratti si levaval'ammonimento di Camilla.

- Lalelilo lu...

Negli intervalli di silenziosi udivaMatteo Puriello picchiare su le suola o il telaio della Iece sbattere.

- Vavevivovu...

Allora Orsola s'infastidì. Lamonotonia de' rumori e delle voci le dava al capo una pesantezzaingratale conciliava il sonnomentre ella voleva essere destamentre ella sentiva ancóra intorno a sé la respirazione deifanciulliil soffio giocondo di quelle vite.

- Balbelbilbolbul...

Prese i fiorili mise in un bicchierepieno d'acqua per conservarli. Li fiutò poi lungamentestette con lenarici tra quel frescochiudendo gli occhiraccogliendosi tutta inquel peccato d'olfatto.

- Gragregrigrogru...

Una gran nuvola bianca velò il sole.Orsola si accostò alla finestrasi sporse al davanzale per guardargiù nella piazza. Di fronteDonna Fermina Memma in una roba rosatastava sul balconetra i vasi dei garofani; e un gruppo di ufficialipassava sotto a lei ridendo e facendo un tintinnìo di sciabole sullastrico. Più in lànel giardino pubblico le piante di lilla eranosul fiorirela punta del gigantesco pino si piegava al vento. Dallacantina di Lucitino usciva Verdural'eterno ubriacobarcollando evociferando.

Orsola si ritrasse: era la prima voltadopo tantoche si affacciava su la piazza. Le parve di essere in altoin altoguardando in giù; la prese una leggera vertigine.

- Narnernirnornur...

II coro dentro seguitavaancóraancóraancóra.

- Plaplepliploplu...

Orsola si sentiva soffocarevenirmenoa quella tortura: i suoi poveri nervi indeboliti cedevano. Ilcoro seguitavaal ritmo della bacchetta di Camilla battuta sultavolinoimplacabile.

- Ramremrimromrum...

- Satsetsitsotsut...

Allora un impeto subitaneo disinghiozzi squassò la convalescentel'abbatté sul letto. Ellasinghiozzavacosìbocconia braccia apertepremendo la faccia sui guancialiscossa dai sussultisenza potersi frenare.

- Talteltiltoltul...

VI

Le erano ricresciuti tutti i capellicrespi e castaneicome prima. Ella aveva ora una curiosità grande diguardarsi nello specchio; perché Rosa Catenacon uno di quei leziiche sempre svelavano in lei l'antica femmina impudicapassandole lamano sul corpo le aveva detto: - Bellezza!

Aspettò dunque che Camilla uscisse;poi scese dal lettostaccò dalla parete uno di quelli specchi rococòa cornice d'oro appannati di macchie verdi; con un lembo della copertatolse la polvere e si guardò dentrosorridendo. Ella aveva tutto ilcollo nudo e pe 'l collo certe vene azzurrognole quasi in rilievoenella testa piccola e lunga qualche cosa di caprinola bocca fineilmento acutogli occhi castanei come i capellima più tendenti algiallo. Il pallore trasparente e il sorriso davano una grazia nuovauna nuova giovinezza ai suoi ventisette anni.

Ella restò a guardarsi a lungo; e sipiaceva di allontanare lentamente lo specchio e di veder sparire l'imaginein quella luce un po' glauca come in un velo d'acqua marina e quindiriemergere. La vanità la conquistavala occupava. Ella si accorse ditante piccole cose a cui prima non aveva badato mai; per esempiodiun neo simile a una lenticchiache le macchiava la pelle su la tempiasinistrae di una cicatrice leggera che le attraversava l'arco di unsopracciglio. Restò cosìa lungo. Poiassalita da una gioiarepentinacercò in torno un qualche diletto.

Quella capsula vegetalech'ella avevatrovato in fondo a un repostiglios'era aperta come in due valvescoprendo un grappolo denso di semi nerastri. Ogni seme pareva legatoa filamenti sottilissimi d'una lucidità argentea; e il grappolo simanteneva compatto. Ma a pena la vergine vi mise un soffioun nuvolodi piumoline bianche si levò nell'aria e si sparpagliò qua e làbrillando: erano le spie. I semi parevano alatiparevano insettiesili ed evanescenti che si dissolvessero incontrando i raggi del soleo parevano lanugini di cigno a pena visibili; ondeggiavanoricadevanosi mescolavano ai capelli di Orsolale sfioravano lafacciala coprivano tutta. Ella ridevadifendendosi daquell'invasionecercando di scacciare quella pelurie che le vellicavala pelle e le si attaccava alle manima le risa le impedivano isoffii.

Alla fine si distese lunga sul lettolasciò che tutta quella molle nevicata le scendesse sopra lentamente.Teneva gli occhi semichiusi per prolungare la dolcezza; e a mano amano che il sopore la invadevasi sentiva come sommergere in ungiaciglio alto di piume. La luce che entrava nella stanza era una diquelle pallide chiarità pomeridiane del mese di marzoove il soleride modestamente estinguendosi come un indizio di aurora in un grancielo albeggiante.

Camilla trovò la sorella ancóraaddormentata con accanto lo specchiocon ne' capelli le spie.

- OhSignore Gesù! ohSignore Gesù!- mormorò tra i denticongiungendo le maniin atto di compassioneamara.

La cristiana veniva dalla chiesadoveaveva cantate le litanie per l'Annunciazione e aveva ascoltata lapredica sul messaggio dell'Arcangelo all'ancella di Dio. Ecce ancillaDomini. L'eloquenza sonora del frate predicante l'aveva inebriata; lerestavano ancóra negli orecchi certe parole ammonitrici.

Orsola si destava in quel momento conun lungo sbadiglio voluttuosoe stirava le membra.

- Ah! Sei tuCamilla? - disse ella unpo' confusa da quella presenza.

- Sono iosono io! Tu ti perderaisciaguratatu ti perderai - irruppe la devotaadditando lo specchiosul letto. - Tu hai tra le mani lo strumento del demonio...

Ed eccitata dalla prima invettivaellaseguitavasollevava la vocegittava le frasi ardenti della predicacon grandi gesti nell'ariaincalzava nelle minacce dei castighieterninon si rivolgeva soltanto alla pericolanteassorgeva adammonire l'universo dei peccatori.

- Memento! Memento!

Orsola non intendeva più nullapoichétutta quella vociferazione l'aveva stordita.

D'un tratto dall'angolo della piazzascoppiò la fanfara militare con uno squillo di venti trombe.

VII

L'ultima stanza della casa era strettae bassacon le travi del soffitto annerite dal fumopiena d'un lezzodi cipolledi rigovernatura e di carbone spento. I vasi di ramependevano alla parete in ordine senza luccichìo; i piatti di Castellistavano in ordine su la mensola con le loro gioconde pitture di fioridi uccelli e di teste ridenti; le antiche lucerne di ottonelebottiglie vuotele foglie di erbaggio non più fresche eranosparpagliate per le tavole; e su tutto dominava proteggitore SanVincenzo effigiato con il gran libro in una mano e la fiamma rossa inmezzo al cranio.

Làun tempoOrsolastando in mezzoai vapori dell'acqua bollente e alle esalazioni dei cibi vegetalispesso aveva sentito giungersi sul capo dalla piccola finestra alta iritornelli d'una canzone libertina e certi larghi schiamazzi di risache s'inseguivano. I canti e le risa crescevano nelle sere di estatetra i passagalli delle chitarrefra gli urti della danza sul terreno.Tutti i romori della vita d'una suburra infima salivanoin certe orea quella altezza e facevano tremare d'orrore le povere spose di Gesùchine in umiltà su i tegami d'argilla pieni dell'eremitica innocenzadei legumi e delle verdure. Ma oraal novel tempo e gaiocome ungiorno udì Orsola le vociuna voglia nell'animo le corse di spingerla vista fuori.

Camilla non stava nella casa; era ladomenica quinta di Lazzaro. Urgeva nell'ariadopo le brevi pioggecon un più dolce alito di calore l'imminenza dell'aprile; e inquell'aria la pulzella più aveva pieno e chiaro il senso del suorinascimento. Ein oziogirando per le stanzeebbe ellanaturalmente la curiosità di guardarepresa al fascino malsano chegli spettacoli di lascivia esercitano anche su gli animi verecondi.

Ella salì su una sedia all'altezzadell'apertura; ma prima di spingere lo sguardo innanzifu invasa daun turbamento di tremitie ritta su la sedia si volse in tornotemente se non qualcuno la sorprendesse nell'atto.

Intorno tutto era quieto; ogni tantouna gocciola d'acqua cadeva dall'alto in un bacilesonando. Di fuorisalivano le voci ed allettavano.

La verginerassicurataguardò. Nelvicolosotto la pioggia il fradiciume aveva fermentato come unlievito; una melma nera copriva il lastricoove spoglie di fruttaresidui di erbestracciciabatte marcefalde di cappellotutto ilciarpame sfatto che la miseria gitta nella stradasi mescolavano. Suquella cloacain cui il sole suscitava insetti e miasmiuna fila dicase nane pareva ansare addossata alla caserma. Da tutte le finestreperòda tutti gli spiragli si riversavano le piante dei garofani nonpiù contenute nei vasi; e i grandi fiori rosei e rossi penzolavano alsole aperti magnificamente. E tra quei fiori apparivano le facceflosce e dipinte delle meretricipassavano le oscenità dellecanzonettele risa gutturali; e giù sul lastricosotto leinferriate della casermaaltre femmine si tendevano verso i soldatiparlando a voce altaprovocandoli. E i soldatiche sentivano nelsangue alla primavera rifiorire i mali di Venereallungavano le manidi tra le sbarre pur di brancicare qualcosadivoravano con gli occhiin fiamme quelle femmine disfatte già per anni dalla lascivia ditante ciurme briache e di tanti facchini fradici.

Orsola stette li stupidita allospettacolo di tutta quella corruzione fermentante pe 'l buon sole diquaresima e saliente fino a lei. Non si ritraeva ancóra; ma come alzògli occhivide in un abbaino sul tetto della caserma un uomo biondoche la guardava e sorrideva. Ella scese dalla sedia a precipiziopiùpallida di primacredendo di sentire la voce di Camilla. Corse nellasua stanza e si gettò sul lettosbigottitasenza respirocome sel'avesse perseguitata qualcuno minacciandola.

VIII

Da quel giornotutte l'oretutti imomenti in cui Camilla non era nella casala tentazione diabolica latrascinava a quello spettacolo. Ella prima pugnavavanamentesenzaforzelasciandosi vincere. Andava là con l'ansia sospettosa di chiva a un ritrovo di amore; ci restava lungo tempodietro la persianaquasi cadentementre i miasmi del lupanare la turbavano e lacorrompevano.

Ella spiava tuttoacuendo lo sguardocercando di penetrare negli internicercando di scoprire qualche cosatra i garofani che chiudevano le finestre. Il sole era caldo epesante: sciami d'insetti turbinavano nell'aria. Ad intervalliquandoentrava nel vicolo qualche uomovenivano dalle finestre i richiamidelle aspettanti: femmine discintecon il seno scopertouscivanofuori ad offerirsi. L'uomo spariva in una delle porte oscure conl'eletta. Le deluse gittavano scherni e risa dietro la coppiae sirimettevano all'agguato tra i garofani.

Cosìnella verginesi accendeva labrama. Il bisogno dell'amoreprima latentesi levava ora da tutto ilsuo esserediventava una torturaun suplizio incessante e feroce dacui ella non sapeva difendersi.

Un fiotto di sanità caldo la riempiva;certe sùbite allegrezze le muovevano il sanguele suscitavan nelpetto quasi battimenti d'alele inspiravano canti nella bocca. Avolte un soffiouno di quei piccoli fremiti dell'aria che si dilatasotto il soleuna canzone di mendicanteun odoreun nulla bastava adarle smarrimenti vaghiabbandoni in cui le pareva di sentire sututte le membra come il passaggio carezzevole del velluto d'un fruttomaturo. Ella era così librata e perduta in abissi ignoti di dolcezza.L'irritazione della continenzala sovrabbondanza insolita de' succhiquel distendersi continuo dei nervi sotto gli stimoli la tenevano inuna specie di stordimento simile al primo stadio dell'ebrezza. Ilpassato si dileguavasi assopiva in fondo alla memorianon risorgevapiù. E in ogni orain ogni luogo il desiderio le tendeva insidie: iSanti delle murale Madonnei Cristi crocefissi ignudile piccolefigure di cera deformitutte le cose in tornoprendevano per leiapparenze impure. Da tutte le cose l'impurità emanava e le alitava sula personaaffocantemente.

- Eccoora scendo nella strada -diceva ella a sé stessanon reggendo più.

Poi le mani le tremavano su la portanell'aprire. Lo stridore del chiavistello scorrente negli anelli lasbigottiva. Ella tornava in dietrosi gettava sul letto quasisvenendosilividasotto una larva d'uomo.

IX

La domenica delle Palme ella uscì dopotanti mesiper la prima volta; poiché Camilla voleva condurla arender grazie della guarigione al Signore. Quando le campane si miseroa squillareOrsola si affacciò. Tutto il paese era ridente nelgrande riso pasquale del sole d'aprile. Tutto il contado invadeva levie con il segno pacifico dei rami di olivo.

Ella ora doveva vestirsi in fretta: lagente nelle vie l'avrebbe guardata passare. Una furia di vanità sùbitola prese: si chiuse nella stanzacercò in fondo alla cassa le vestipiù chiare. Un odore acuto di canfora saliva da quei vecchi tessuticonservati là dentro per anni: erano grandi gonne di seta a fioramiverdi e violette e cangiantiche un tempo la crinolina avea forsegonfiate in torno alle anche di una sposa novella; erano lunghi busticon maniche ampiemantelline color di tortora orlate di merlettibianchiveli intrecciati di fili d'argentocollari di tela finaricamati a giorno; tutte cose morte per l'usogoffemacchiatedall'umido.

Orsola sceglievacome guidata da unnuovo istintoprofumandosi di canfora le mani nel cercare. Tuttaquella seta inutile e quei veli la irritavano. Non trovava al finenulla che le andasse alla persona! Chiuse la cassa irosamentelarespinse sotto il letto con un urto del piede. Le campane sonavano perla terza volta. Ella si mise in furia il consueto abito triste colordi cenerein conspetto di Camillamordendosi le labbra perricacciare in giù le lacrime.

Le campane chiamavano. Per le vie ifasci delle palme mettevano un mobile luccicore argenteo; da ognigruppo di villici sorgeva una selva di ramoscelli; e la candidaclemenza della benedizione cristiana si diffondeva per tutta l'aria daquelle selvecome se si appressasse il Galileoil re povero e dolcesedente su l'asina fra la turba dei discepoliin contro agli osannadel popolo redento. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna inexcelsis!

Nella chiesa la folla era immensasotto la selva delle palme. Per una di quelle correnti che si formanoirresistibili nelle masse di popoloOrsola fu divisa da Camilla; restòsola in quel rigurgitoin mezzo a tutti quei contattiin mezzo atutti quegli urti e quegli aliti. Ella tentava d'aprirsi un varco: lesue mani incontravano la schiena d'un uomoaltre mani tiepide il cuitocco la turbava. Ella si sentiva sfiorare il volto da una fogliad'olivocontrastare il passo da un ginocchiospingere il fianco daun gomitooffendere il pettooffendere le spalle da pressioniincognite. Sotto l'odore dell'incensosotto le palme benedettenellapenombra misticain tutto quell'ammasso di cristiani e di cristianepiccole scintille erotiche scoccavano per attrito e si propagavano;amori segreti si ritrovavano e si congiungevano. Passavano accanto aOrsola fanciulle della campagna con palme sul pettocon un risofuggente nel bianco degli occhi vòlto ad amatori che dietro leinsidiavano: ed ella sentiva in torno a sé così passare l'amoreponeva il suo corpo tra quei corpi che si cercavanoera un ostacolo aquei gesti che tentavano toccarsiseparava le strette di quelle manii legami di quelle braccia. Ma qualche cosa di quelle carezzeinterrotte le penetrava nel sangue. In un punto ella s'incontrò afaccia a faccia con un soldato biondo; quasi gli posò il capo su latunicaperché una colonna di gente dietro la spingeva. Ella levògli occhi; e il giovine sorrise come aveva sorriso un giornodall'abbaino della caserma. Dietrol'urto seguitava; il vaporedell'incenso si spandeva più densoe il Diacono dal fondo cantò:

- Procedamus in pace.

E il coro rispose:

- In nome Christi. Amen.

Era l'annunzio della processionechemise un sommovimento enorme in tutto il popolo. Per istintosenzapensareOrsola si attaccò all'uomocome se già gli appartenesse;si lasciò quasi sollevare da quelle braccia che la prendevano aifianchisi sentì ne' capelli quel fiato virile che sapeva lievementedi tabacco. Ella andava cosìindebolitasfinitaoppressa da quellavoluttà che l'aveva colta d'improvvisonon vedendo se non unbarbaglio dinanzi a sé.

Allora dall'altare maggiore si mosse ilturiferario spargendo nuvoli di fumo cerulo e dolce sul popolo; e unaprocessione candida si svolse nel mezzo della chiesa. I celebrantiportavano in mano rami d'olivo e cantavano.

X

Tutta la Settimana Santa protesse dellesue complici ombre l'amore della vergine Orsola. Le chiese eranoimmerse nel crepuscolo della Passionei crocefissi su gli altarierano coperti di drappi violacei; i sepolcri del Nazareno eranocircondati di grandi erbe bianche cresciute nei sotterranei; unprofumo di fiori e di belzuino pesava nell'aria.

Là Orsolainginocchiataattendevafin che un passo leggero dietro di lei la faceva trasalire. Ella nonpoteva volgersiperché Camilla la vigilava; ma si sentiva tuttaabbracciare dallo sguardo di quell'uomocome da un fuoco sottileeuna tenerezza torbida le scendeva nella carne. Allora fissava i ceridigradanti su un triangolo di legno presso l'altare. I preti cantavanodinanzi a un gran libro; e ad uno ad uno i ceri venivano spenti. Nonne rimanevano che cinquenon ne rimanevano che due; l'oscurità siavanzava dal fondo delle cappelle su la gente in preghiera. L'ultimafiammella finalmente spariva; tutte le panche risonavano sotto lebattiture delle verghe. Orsola nel buioa pena si sentiva toccare dadue mani cercantiscattava dal pavimentocon un sussultosmarrita.Poiquando usciva dalla chiesail pensiero d'aver violato un luogosacro la empiva di rimorso: subitamentela paura del castigorisorgeva. Ella s'inabissava poi come in un sogno dove la figuralivida di Gesù morto e lo scroscio delle battiture e i brividi dellacarne sollecitata e l'odor grave dei fiori e gli aliti di quell'uomobiondo si mescolavano in un senso dubbio di dolore e di piacere.

XI

Ma come Gesù trionfante risalì allagloria dei cieligli aromi pasquali non più confortarono l'amoredella vergine Orsola. Scena dell'amore fu allora il dominio dei gattirandagi e dei colombi torraioli. Dall'abbaino alla finestra i dolcisegni correvano: tra mezzoil lupanare si sprofondava come un fossatod'acque limacciose a' cui cigli crescessero fiori alimentati dallaputredine. I colombi sorvolavano con il luccichìo verde e grigiodelle loro piume.

L'amadore aveva un bel nome anticosichiamava Marcelloe aveva un bel fregio rosso e d'argento su lemaniche della tunica. Scriveva epistole piene di fuoco eternoconfrasi impetuose che davano all'amatrice deliquii di tenerezza efremiti di voluttà mal contenuta. Orsola leggeva quei fogli insegretoli teneva notte e giorno nel seno: pe 'l calore la scritturavioletta le s'imprimeva su la pelleed era come un gentile tatuaggiod'amoredi cui ella gioiva. Le risposte di lei non finivano mai:tutta la sapienza grammaticale di una maestratutto il tesoro delleapostrofi psalmistiche di una devotatutta la fluente sentimentalitàdi una pulzella tardiva si riversava su la carta de' quaderniscolastici rigati di turchino. Ella scrivendo si obliavasi sentivatrascinare in un'onda di verbosità sonore. Pareva quasi che unafacoltà novella si esplicasse in lei e prendesse forme maniached'improvviso. Quel gran sedimento di lirismo mistico accumulato per lalettura de' libri di preghiera in tanti anni di fedeltà allo SposoCelesteorascosso dal tumulto dell'amore terrenosi levava suconfusamente per assumere sapori di profanità nuovi. Così lelacrimose implorazioni a Gesù si mutavano in sospiri di speranzaverso letizie d'amplessi non etereile offerte del fior dell'anima alSommo Bene si mutavano in tenere dedizioni della carne al disio delbiondo amantee il lume afrodisiaco della luna si cingeva di tuttigli epiteti per cui va radioso lo Spirito Santoné gli zefiri dellaprimavera mancavan di rapire gli aromi alle mense del Paradiso.

XII

Era messaggero uno di quegli uomini chepaion cresciuti sucome funghidall'umidità della strada immonda edhanno in tutta la figura quasi una nativa tinta di fango; di quelliuomini bigiche s'insinuano per tuttoche si trovano per tutto ov'èun centesimo da guadagnareun po' di untume da leccareuno straccioda sottrarreoggi rigattieri e domani procaccianti in atto di serve odi male femmineoggi falsi sensali di mercatanzia e domaniaccalappiatori di cani erratici.

Costui aveva un nome melodrammaticosichiamava Lindoro: dal quartiere dell'Ospedale al bastione diSant'Agostino una popolarità grande s'era fatta in torno a questonome. Nasceva costui dall'accoppiamento d'un sonatore ambulante diclarinetto con una piazzaiuola rivenditrice di fruttagliaereditandol'istinto nomade del padre e la naturale avarizia della madre. S'eraprima strascicato per gli immondezzai di tutte le casecon la scopa eil canestro; aveva poi fatto il guattero in una bettoladove soldatie marinai gli gettavano sul viso gli sgoccioli del bicchiere e lespine del pesce mal fritto. Dalla bettola era caduto in un fornodovespingeva i pani con la lunga pala dentro le fiammetutta la notteinsudoreaccecandosi. Dal forno era passato all'uffizio di accenditorepubblico de' fanalilogorandosi una spalla sotto il peso della scalaportatile. Scacciato da quell'uffizio perché sottraeva il petroliodalle grandi casse di zinco biancosi mise alla ventura della stradacomprando e rivendendo abiti vecchifacendo in tutte le case popolanei servigi più vilioffrendo ai soldati e ai forestieri i suoiruffianesimilottando così per il tozzo.

Nel suo corpo e nella sua anima ognimestiere aveva impresso una tracciaaveva lasciato un gesto abitualeuno sviluppo di singoli muscolil'indebolimento di un organounacallositàuna cadenza di voceuna frase del gergo. Egli era dipiccola staturamagrocon una testa enorme e quasi calvaconchiazze di peli radi su le guancecon pustole tra i peli. Il suovestito era ibrido e mutevole; tutte le fogge passavano su la suapersonasi sovrapponevano a contrasto: nobili zimarrine verdognole ecalzoni carichi di toppecappelli di feltro arrossenti e ciabatteservilibottoni di metallo lucidoformelle d'osso biancogallonimilitaritrinequel miscuglio di ricchezza sfatta e di miseriaignobileche ingombra la bottega di un rigattiere ebreo.

XIII

Ora costui fu il galeotto. Portava leepistole di Marcello con le conche piene d'acqua della Pescara su allacasa di Orsola e tornava giù con le conche vuote e con epistole dirisposta. Orsolaquando lo sentiva salir le scalesi faceva pallida;cercava pretesti per allontanare Camillaper essere sola con l'uomoportatore d'acqua e di gioia. Avvenivano allora contatti rapidinelsotterfugio; passavano allora tra lei e il galeotto quegli sguardiobliqui di intesaquei fuggevoli accenni dei muscoli facialiqueimonosillabi sommessiche son gli aiuti dell'astuzia umana e che alungo andare stringono legami tra gli ingannatori. A poco a poconell'amore di Orsola penetrava qualche cosa della viltà di Lindoro;una specie di domestichezza a poco a poco si stabiliva tra l'amatricee l'ambasciatore. Ellase costui giungeva nell'assenza di Camillaloincalzava di domandegli parlava da presso facendogli sentirel'alitoqualche volta inavvedutamente gli posava su la spalla unamano. Lindoro scioglieva i freni della sua loquacitàintramezzandoparole di gergoreticenze impudichefurbi sorrisi rivelatorigestiambiguipiccoli schiocchi di lingua e di labbra.

Egli ruffianeggiava con artesapevainsinuare sottilmente la corruzione nell'animo di Orsolasapevatrascinare lentamente all'insidia di Marcello quella preda. E lavergine stava ad ascoltarlo intentacon in fondo agli occhi unafiamma che crescevacon in bocca l'aridezza prodotta dall'orgasmolascivosenza più interrompere. Lindoro s'accorgeva subito di aversuscitato nella femmina la brama; e dinanzi a quella figura tuttaprotesa e tutta sconvolta si risvegliava in lui il maschio d'un trattoe l'assaliva la tentazione di cogliere quel fiore ch'egli apprestavaal piacere di un altro. Ma la paura sorgente dal fondo della sua viltàlo tratteneva e gli ghiacciava l'ardore.

Così Orsola al fine aveva concesso aMarcello un ritrovo. Si sarebbero ritrovati in una casa remota delsobborgoin fondo a un vico desertodove nessuno li avrebbe spiatiuna domenica di giugnostando Camilla nella chiesa più lungo tempofacendo buona guardia Lindoro.

Nei giorni precedenti quel gran fattoOrsola era tenuta da una eccitazione amarada una specie di febbreche a volte le dava il battito dei denti e le vampe alla faccia e ibrividi alla radice dei capellialla nuca. Ella non poteva più starfermanon poteva più star sedutaperché una furia di mobilità lesollecitava tutte le membra. Nella scuolain mezzo al coro eguale deidiscepoliin mezzo a quello stillicidio continuo di sillabeunospirito di ribellione le abbagliava la vista all'improvvisoed ellaavrebbe voluto balzare tra i fanciullisconvolgere con le mani tuttequelle capigliaturerovesciare la lavagnale tabellele pancherompere in gridaspezzare qualche cosastordirsi. Sotto lo sguardofreddo e scrutatore di Camillapoco mancava che ella non svenisse perlo spasimoper la bileper l'immenso sforzo interiore didissimulazione.

Poiquando Camilla uscivaella siagitava per tutte le stanzemoveva le sediemorsicchiava un fiorebeveva d'un fiato un gran bicchiere d'acquasi guardava nellospecchiosi affacciava alla finestrasi abbatteva a traverso illettosfogava in mille modi l'irrequietudinel'esuberanza dellavitalità sensuale. Tutto il suo corponel tardivo fermento dellaverginitàsi era arricchito ed espanto. La sua testa non era bellanon aveva la quadratura vigorosalo splendore olivastro di certerazze d'Abruzzoquelle pure linee del naso e del mento svolgentisigrecamente nella latina ampiezza della faccia. Ma ellainconsapevolesotto la goffaggine delle vesti grigesotto la cascaggine dellepieghe incompostecelava un bel corpo delicato.

Erano i giorni primi di giugno: sorgeval'estate dalla primaveracome da un campo d'erbe un àloe. Tra ilmare e il fiume tutto il paese di Pescara godeva nella ventilazionesalina e nel refrigerio fluvialecome distendendo le braccia versoquei naturali confini d'acqua amara e d'acqua dolce. Salivano allastanza di Orsola allora le blandizie della temperie; insetti lucidiurtavano ai vetri e rimbalzavanocome una grandine d'oro.

La verginese era solaprovava unbisogno di distendersidi gettare lungi le vestidi giaceree diraccogliere su la pelle quella blandizia ignota che fluttuavanell'aria.

Cominciava lentamente a spogliarsicongesti pigriindugiando con le dita in torno alle allacciature e aifermaglifacendo piccoli sforzi svogliati nel cacciar fuori lebraccia dalle manichefermandosi a mezzo e abbandonando in dietro latesta dai capelli crespi e cortiquella sua testa di giovincello.Lentamentesotto l'amorosa faticadalla informità delle vesticomedalla scoria del tempo una statua diseppellitail corpo ignudo sirivelava. Un mucchio di lana e di tela vile era ai piedi dellapulzella così purificatae da quel mucchio ella come da unpiedestallo sorgeva nella luce coronandosi con le bracciamentre alcontatto dell'aria una vibrazione a pena visibile le correva a fiordella pelle. In quell'attitudine momentanea tutte le linee del torsosi distendevano e salivano verso il capo ricinto; si appianava laleggera onda del ventre non anche deturpato dalla concezione; gliarchi delle coste si disegnavano in rilievo. Poise un insettoentrava nella stanzail ronzio aliante in torno ed accennante adattingere la nuditàil ronzio sbigottiva Orsola; ed era allora undifendersi dalla puntura mal temutaerano movimenti serpentiniscatti di muscoli sotto la cutepaurosi raggruppamenti di membrafalli dei malleoli non bene forti al gioco.

Poicosì eccitata dal moto e caldaella aveva voglie nuove. Apriva l'usciocauta in sospetto; e mettevafuori il capo guardando nell'altra stanza. C'era un odore di chiusoquello squallore inanimato che hanno le scuole senza fanciulli. Nelletabelle quadrate l'alfabeto cubitale e i gruppi dei dittonghi e dellesillabe stavano muti dominatori del luogo. Orsola si avanzava evitandoco' piedi nudi gli interstizii del pavimento smossoprovando latitubanza di chi cammina scalzo per la prima volta su un piano aspro ela confusione di una donna che non sente più in torno al suo passol'impedimento abituale della veste. Andava così fino alla terzastanzadov'era l'acqua. Intingeva le manisi spruzzava tuttacoraggiosamentesussultando se una gocciola più grossa le rigaval'epidermide. Usciva di làtutta sparsa di rugiada: andava verso lospecchio di un antico canterano.

Restavano in quel canterano ancóraframmenti di intarsio qua e là. Lo specchioche celava un armariosovrastanteaveva in torno fregi misti d'oro e di colori e in altodue puttini decapitati. Orsola saliva fin làattratta da unairresistibile curiosità di vedersi nuda. La sua persona tutta ancórafresca di gocciole sorgeva nell'offuscamento dello specchio come in unverdazzurro fondo marino. Ella si guardava sorridendo. Il sorrisoogni movimento dei muscoli pareva far tremolare tutte le linee dellanudità nello specchio come quelle di una imagine dentro le acque.Allora ella cominciava una specie di mimica vanitosaguardandoriprodursi tutti i suoi gesti nella lastraaprendo le labbra permostrare i dentialzando le braccia per mostrare le ascellepresentando la schiena arcata e forzando il capo a volgersi in dietro:fin che un pazzo impeto di ilaritàdinanzi a quello spettacolo di séle scuoteva tutta la persona. In fondo in fondodietro la donnasirifletteva dalla parete avversa la tabella dell'alfabeto.

XIV

Ora avvenne che in uno di quei momentibattesse alla porta della scala Lindoro venuto su con le conche.Orsola gridò:

- Aspetta!

E raccolse da terra le vestiin furia;se le mise addossoin furia; andò ad aprire.

Erano le sei di sera: il riverberobianco del palazzo di Brina entrava nella stanza; tutto il paese diPescaragrande ospizio di rondinicantava.

I duein mezzorittiparlarono delritrovo imminente. Lindoro con la sua loquacità cercava di vincere leestreme esitazioni della pulzella; poiché egli già teneva una partedella mercedee l'adescava il resto. L'artifizio persuasore gliavvivava le parolegli occhii gesti. Egli aveva nel fiato l'odoredel vinoe nella facciasu le tempiepe 'l passaggio recente delrasoiopiccole macchie rosse e violacee. Mentre parlava gli siscopriva la fila dei denti eguale e schiettauna di quelle fortichiostre che spesso armano le bocche plebee; e la singolaritàemergeva vivacemente dalla generale turpitudine dell'uomo.

Orsola opponeva dubbiipaureadinterrompere; ma giàpoi che l'impudicizia a mano a mano sorgendo piùcalda dal fòmite del vino bevuto si insinuò nelle persuasioni delgaleottoella cominciava a turbarsi. S'era ritirata a poco a pocoverso il muroappoggiandovisi. Dalle aperture lasciate qua e lànell'abito per furia del rivestirsisi intravedevano i lembi dellino. La gola era tutta scopertai piedi senza calze nascondevanonelle pianelle soltanto le dita.

Ma ellaa un puntoinvolontariamenteper quel cieco istinto da cui una donna è avvertita d'essere innanzia un uomo bramosocorse con la mano a chiudere sotto la golasulpetto gli uncinelli. Quell'attocol quale Orsola così riconoscevanel mezzano l'uomoquell'improvviso atto fece scattare dall'abbiezionedi Lindoro un impeto di orgoglio maschile. - Ah egli dunque avevapotuto per sé stesso turbare una donna! - E si fece più da presso;ecome il coraggio del vino lo animavaquella volta nessun ritegnodi viltà trattenne il bruto.

XV

Orsola rimase inertelunga su imattonicon nelle vesticon in tutta la figura lo scompiglio delladonna violata.

Maquando udì i passi di Camillanella scaladal fondo della sua languidezza si levò su un gomito;rapidamente passò le mani su le vesti sconvolte; ritrovò le paroleper dire alla sorella che una sùbita mancanza di forze l'aveva fattacadere nel mezzo della stanza.

Fuoriannottava. Sul paese si spandevala grande frescura glauca della sera di giugnooriginantedall'Adriatico. Voci e risa empivano la piazza; giù pe 'l casamentocantava la gioia sabatina degli abitanti sollevati. Dal secondopianerottolo Teodora La Iece gridò:

- Comare Camillacomare Orsolavenite?

Orsola seguì la sorellasenzaparlaresenza pensare. Durava fatica a ricordarsi: una specie diebetudine le teneva ancóra la memoria. Teodora le empiva gli orecchidel suo chiacchierio di femmina maldicente e petulante.

- Sapetecomarela figlia di RachelaCatena si marita.

- Ah.

- Sapetepiglia Giovannino Speranzaquel rosso che tiene locanda alla Pesceria e ha il mal di San Donatoliberanosdòmine.

- Ah.

- Sapetecomare; Checchina Madrigalese n'è scappata un'altra volta a Francavilla. Voi la conoscete;quella grassa che sta di casa a Glorianeracol naso a becco...quella.

Teodora seguitando aveva preso il passodi Orsola. Camilla veniva un poco in dietroa capo chinosenzabadare ai peccati di mormorazione che la lingua della tessitricecommetteva contro il prossimo. Per le vie tutta la gente godeval'aria; gruppi di donne passavanoin vesti di telacon braccia nudesino al gomito.

- Comareguardate Graziella Potavignache falbalà s'è messo! Guardate Rosa Zazzettacon un sergenteavanti e uno dietro... Ahvoi non sapete?

E qui una storia d'amorazzi pienad'indiscrezioni salacisusurrata quasi all'orecchio. Per obliareOrsola si immerse nel pettegolezzo intieramentecon una specie difuria convulsanon dando a sé stessa il tempo di ripensareinterrogandoeccitando Teodora alla chiacchieratemendo gliintervalli di silenzioriempiendoli con sussulti di riso. Ella avevaquasi un godimento amaro a sentire i vituperii degli altri.

- Ohecco Don Paolo!

Veniva in contro con la sua bellaplacidezza Don Paolo Secciaun ottuagenario ancóra aspro e verdecome un ginepro.

- Venite con noiDon Paolo: usciamofuori.

Tutti i macelli per la via di quadi làavevano i loro manzi freschi penzolanti in mezzo alla porta: l'odoredella carne bovina si spandeva dalle ventraie aperte e assaliva lenari. Più in sulunghe file di maccheroni stavano attelate al lumedella luna che le guardava dalla cima di un'antenna soperchiante lacaserma. Gruppi di soldati si affollavano in torno alle rivenditricidi fruttavociferando.

- Andiamo alla Bandiera - disseTeodoradando la precedenza a Don Paolo ed a Camilla.

Orsola passò in mezzo a tutti queirumori e quegli odori fortistordita. Cominciava alfine unosbigottimento vago a sommuoversi dal fondoa torcerle la bocca nelrisonelle parolea impedirle la lingua. Anche certi piccolitormenti fisici la molestavano e la richiamavano alla realità dellecose. Ella non sapeva più sfuggire a sé stessa: le moriva la vocefra i dentil'angoscia le serrava la golail fantasma del peccatoenorme e irrimediabile le si drizzava dinanzi. Ella ora si sentivamorire dalla fatica di reggersi in piedidi mettere i passi: sisentiva percossa dalla spietata animazione della vita nella strada cheè di tutti.

- Dunquecomare miaquel guercio delmarito senza saper nulla di nulla... - diceva Teodora riannodando lamaldicenza interrotta.

Andavano per la Bandiera. Il ponte abattellisu la sinistracavalcava il fiume. Dall'altro latola molecupa e grave del bastione si disegnava nel chiarore. I vecchi cannonidi ferropiantati con la bocca nel terrenosi dilungavano in filatrattenendo le gómene; grandi àncore di ferro ingombravano lo scalo.Nelle toldea rivai marinari sotto le tende mangiavano e fumavano:le tende illuminate contrastavano con un rossore sanguigno l'alboredella luna. Intorno alle proresu l'acqua larghe chiazze come dimateria liquefatta fluttuavano lentamente.

-...mandò a chiamare don Nerèo Memmafiguratevi! - seguitava Teodoraimplacabile.

- Chi parla del dottor Dulcamara? -fece Don Paoloa cui era giunto quel nomeridendo dalla franca boccaancóra armata di avorii.

Orsola non sentiva più: ella erapallida come la faccia della luna. Da primatutta quella gran paceluminosa piovente dal cielo sul fiume e tutte quelle lunghe vene diodore marino corrente pe 'l fresco le avevano dato sollievo; poichédinanzi a quello spettacolo di dolcezza i fantasmi vagheggiatidell'amore in fondo a lei si risollevavano e le sommità delsentimento al raggio lunare riscintillavano. Fusùbito dopountumulto confuso in cui ella udiva battere le arterie con un susurrìoassordante che parve dilatarsi e riempire tutta l'aria d'un tratto. Lemancava sotto i piedi il suolo fermo. Il limite delle acque siconfuseper la vertigine; il fiume invase la strada; acque acqueacque si sparsero in torno. Poid'un trattouno scintillìo dibagliori si accese dentro gli occhi di leiun tremolìo crescente difiammelle fatue che rompevanosi intrecciavanosi allontanavanoesi fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra. In quellailluminazione la figura di Marcello compariva e sparivacon unarapidità e una mutabilità di sogno. La vertigine cessò. Orsolariconobbe i riflessi della luna nel fiume placido; continuò acamminarestupefattaindebolitaquasi in punto di venir meno.

- Stancaeh? comare; voi non sieteabituatasi sa. Appoggiatevi a meappoggiatevi - diceva Teodora. -La figlia di Donna Mentina Ussoriaquella più piccolabutteratastava proprio innanzi alla bottegasapetesu la piazzetta...

Erano alla caserma dei finanzieri.Grandi mucchi di carrube mandavano un odore forte come di pelliconciate; e la strada seminata di scaglie d'ostriche scricchiolavasotto i passi. Due sciàbichepresso la rivafacevano pescad'anguillein silenziocon la luna propizia. Ma la sonorità delmare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano la foce gliondeggiamenti del sale superanti il lieve fiore dell'acqua dolce.

- Torniamo in dietrobelle figliuole -disse Don Paoloprendendo una carruba dal mucchio vicino.

Orsola si lasciava condurre. Elladurava fatica a rattenere l'ansia del respiro; poiché ora il suostato con una terribilità incalzantele si ripresentava dinanzi eschiacciava tutti gli aneliti e i tumulti del sentimento suscitatidalla voluttà della notte lunare. Ella vedevanella fissazione delsuo pensierola figura di Lindoro levarsi e vivere; si sentivaun'altra volta afferrare e palpare da quelle mani aspresoffocare daquel fiato caldo di vino e di libidineviolare su i mattoni dellastanza. Ma in quel momentopensavaella non aveva resistitononaveva gridatonon aveva fatto nessun moto per opporsi; ella avevasoggiaciutosenza forzenon distinguendo più nullanon sentendo senon una gran gioia mista di dolore inondarle le fibre. Allora ilribrezzo e il languore si avvicendarono nella sua carneagghiacciandolaaffocandola. Inconsapevoleguardava innanzi a sépallida e con gli occhi ingranditi e più neri.

- Sentite come il vino canta! - disseDon Paolosoffermandosi.

Nelle barche i marinari stavano distesitra i cordamiin mezzo al fumo del tabacco di Dalmaziae cantavanodi femmine bellein gran coro.

XVI

Camillasu l'inginocchiatoiopregò avoce bassaco 'l capo prostratocon giunte le manilungamente; poiaccese la lampada votiva a Maria Vergineper la notte; piegò poi nelsonno tenendo il dolce cuore di Gesù tra i fiori vizzi del seno. Ilsuo respiro di dormiente era religioso come se sfiorasse l'ostia sacrasu la paténa d'argento. Nella volta le ombre seguivano leoscillazioni della fiammella alimentata dall'olio. I rumori del legnoche si dilata e dei tarli che ròdonole voci misteriose dei vecchimobili nella calma notturnarompevano il silenzio.

Orsola stava nello stesso lettoafianco di Camilladistesasenza muoversisenza chiudere gli occhipoiché una grande stanchezza insonne le occupava le membra e lavigilanza assidua dell'angoscia le martoriava l'anima tapina. Ellaascoltava il silenzio; spiava sé stessa con una curiosità ansiosacome per sentire qual mutamento si fosse compiuto nell'essere suo.

A un trattoCamilla nel sonno cominciòa mormorare parole confuseframmenti di parole incomprensibilimovendo appena le labbramettendo lunghi respiri. La testa di leiscarnaaffilatascolpita rigidamente dalla penitenza e dal digiunoingiallita dal lume della lampadaposava su la bianchezza delguanciale come una effigie mal dorata di santa sopra una raggiera.Piccole ombre violacee segnavano l'interno delle naricii solchi delcollo teso e pieno di cordele fosse delle gotele occhiaie d'ondesporgeva grande il globo coperto dalla pelle molle della palpebra.Ella pareva così il cadavere di una martiredentro cui scendesse lospirito di Dio. Benché quello dei soliloqui notturni non fosse ilprimoOrsola sentì freddo in mezzo ai capelli: un terrore improvvisol'assalì e la oppresse. Ella istintivamente si rannicchiòcercò diallontanarsi dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo dellasponda; stette immobilesospesa negli intervalli di silenziocon gliocchi fissi su la bocca della dormienteprovando un sordo sussulto inmezzo al petto se quelle labbra si movevano a profferire nuove parole.Ella non comprendeva; ma qualche cosa di lontanamente profondo e disolenne era in quel mormorìo interrottoun mistero soprannaturale silevava da quel corpo inerte e inconsapevole che parlava senza udire lapropria voce. Nella stanza passava l'alito del sepolcro; per lafantasia sconvolta dell'insonne le ombre oscillanti prendevano formespaventose e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da romoriignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si rifugiava con lo sguardotutte le cose si trasformavano e si animavano ed andavano verso dilei. Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancóra una voltale risorse nella conscienza e la incalzò. Ella si abbatté sottol'incubo del suo peccatomettendo in croce le braccia sul petto perdifendersi dalle minacce dei demoniitentando pregare con la linguaimpedita dal terrore aggrappandosi con un supremo slancio all'àncoradel pentimentoall'ultima salvezza. Ella si sentiva perdutachiedevamisericordia dall'intimo del suo cuore al divino Sposo traditoa Gesùbuono e grandea Colui che perdona.

La voce di Camilla si esalava insospirisi confondeva in un borboglìo tremulosi spegneva nellarespirazione lenta ed egualea mano a mano che l'entusiasmo del sognomistico si andava placando. Le ombre seguitavano ad oscillare. Non ancórail Crocefisso discendeva dalla parete a raccogliere con le dolcissimebraccia la pecorella tornante all'ovile.

XVII

- Ha detto il Signore per bocca delprofeta Gioelefiglio di Petuel: " Avverrà che io spanderò ilmio Spirito sopra ogni carnee i vostri figliuoli e le vostrefigliuole profetizzeranno; i vostri vecchi sogneranno sognii vostrigiovani vedranno visioni ".

Questo Spirito di cui gli Apostoliebbero le primizie e la beatitudinefu per essi e per noi uno Spiritodi veritàuno Spirito di santità e uno Spirito di forza... O divinoamoreo sacro legame che unisci il Padre e il FiglioSpiritoonnipotentefedele consolatore degli aflittipenetra negli abissiprofondi del nostro cuore e infondici la tua gran luce!-

Così predicava Don Gennaro Tiernonella Pentecostedall'altare maggiorevòlto al popolo ascoltante.Sopra di luiin altola terza persona della SS. Trinità aprival'arco radioso delle ali d'oroe nella chiesa l'illuminazione deiceri spandeva un rossore simile a un riflesso d'incendio. Gli enormipilastri di pietra sostenenti le due navatecoperti di barbaresculture cristianecavalcavano verso l'altare pesantemente; su lepareti gli avanzi dei mosaici rilucevano: qualche testa di Apostoloqualche braccio rigido di Santaqualche ala d'angelo emergeva ancóranell'offuscamento e nello scrostamento operato dai secoli. Tra imosaici pendevano piccole navi ex-voto dedicate al tempio dainaufraghi superstiti. E in mezzo alle pietre rudi e alle croste foschesi elevava agile un gruppo di colonne rosee a spira sorreggenti ilpergamo anche marmoreo fiorito di acanti e animato di bassirilievi.

- Spandi la tua dolce rugiada su questaterra desertaa fin che cessi la sua lunga aridità. Manda i raggicelesti del tuo amore fino al santuario dell'anima nostraa fin chepenetrandoci accendano fiamme consumatrici delle nostre debolezzedelle nostre negligenzedei nostri languori! - seguitava il pretesalendo ai supremi culmini della sua eloquenza e della sua potenzavocale.

Orsolada pressoascoltavatuttaraccolta. Ella si era rifugiata nella casa del Signoreera tornata altalamo; voleva che il Signore la purificasse e la ricevesse un'altravolta nella benignità del suo grande abbracciamento. Quel barbagliosubitaneo di fede la abbacinavale faceva quasi dimenticare ognifallo anteriore. Le pareva che subitamente dalla sua anima le macchiesi cancellassero e dalla sua carne cadessero le scorie della impuritàterrena. Giammai ella si era accostata all'altare di Dio con un piùprofondo tremito di speranza; giammai aveva ascoltato la parola di Diocon una più lunga ebrezza.

Dall'istante in cui l'orrore delladannazione le si levò nella conoscenzaella si compresse in unaspecie di raccoglimento cuposorvegliando sé stessasorvegliando iproprii attii proprii pensierii minimi moti pe 'l timore chequella veemenza di pentimento si esalasseper l'ansia di conservareintatto dentro di sé quel fiore di fede rigermogliato d'improvviso.Fu una specie d'assunzione verso Gesùcon un ripudio di ogni legameumano. Ella si esaltò nella lettura dei libri sacri; si gettò nellacontemplazione delle imagini e dei misteri; lottò contro le molliviltà della carnecontro i calori della giornatacontro l'insidiedella nottecontro i profumi che le portava il ventocontro ilsoffio che saliva dai suoi ricordi impuricontro le voci che parevanovellicarle l'udito e susurrarle segreti nuovi di piacere.

Dopo quella settimana solitaria dipassioneella ora deponeva il sacrificio ai piedi dell'altare; bevevail balsamo della parola di Diofissando gli occhi in alto allacolomba radiosa e sentendosi a poco a poco naufragare nel pelagodell'estasi.

- Vieni dunquevienidolceconsolatore delle anime desolaterifugio nei pericoliprotettorenella sventura. Vienio tu che purifichi l'anime da ogni macchia e neguarisci le piaghe. Vieniforza del deboleappoggio di quegli checade. Vienistella dei navigantisperanza dei poverisalute di chiè per morire! - incalzava Don Gennaro Tiernoalto nella pianetad'argentovermiglio in voltocon occhi forzanti le orbitecon gestiche parevano toccare il cielo.

Nella chiesa una calura grave si eraaddensata su i cristiani. Le navate si schiacciavano su i pilastri; inuna vetrata la testa di San Luca evangelista raggiava percossa dalsole e il gran manto metteva nell'aria una zona di crepuscolo verde.L'ambone marmoreo si levava come un miracoloso fiore misticoin quelvapore di luce.

- Vienio Spiritovieni ed abbimisericordia di noi!

Orsola teneva gli occhi all'alto: sul'onda di tutte quelle invocazioni ella ascendeva verso il nimbopenetrata dalla ineffabile soavità che attira l'anime all'odore degliaromi spirituali. Le parve un istante di vedere la colomba d'orobalenarle un lampo di assentimentoe il cuore le balzò di giubilonel seno come San Giovanni nelle viscere d'Elisabetta alla visitadella Vergine Maria.

- Per nostro signore Gesù Cristo.Amen.

Il pretetutto d'argentosi volseverso la custodiadicendo a bassa voce un credo. Due turiferariibianchi ai lati cominciarono a scuotere i turiboli fumanti e odoranti.Un nuvolo di incenso avvolse la vergine violata che stava da presso; esubitamente un invincibile fiotto di nausea dal fondo della maternitàle salì alla gola e le fece torcere la bocca.

XVIII

Non c'era dunque scampo? - Più giorniancóra ella oscillò nel dubbioaspettando l'ultima prova. Vertiginila prendevano al levarsiquando ella metteva a terra i piedi;sfinimenti vaghi la invadevano su la serafievolezze in cui ilpensierola volontài ricordi parevano quasi avere la confusionela sonnolenza fluttuante delle prime ore mattutine. Ella faceva lecose per abitudinecon gesti di sonnambulastancamente. Nellascuolase veniva sul vento l'odore del pane caldo dal fornoella sisentiva moriresentiva tutte le viscere montarle d'un tratto allabocca; e un sapore di lisciva le si spandeva nella lingua. Un giornomentre un bimbo succhiava una ciliegiauna voglia violenta di quelfrutto la fece contorcere su la sediaimpallidire e sudare. Poielladopo il pastotutta amara di nauseasi metteva lunga sullettosi lasciava occupare dal sopore: il caldo era pesantelemosche ronzavanole grida d'un venditore di occhiali passavano sottola finestrarauche nel silenzio.

Sfiduciataella non cercò più lachiesa: l'incenso anche la ributtava.

Ella non pensò più a Marcello; non lovide piùnon ebbe di lui se non un ricordo incertocome di un sognoremoto. L'ansia presente la teneva tutta.

Lindoro saliva a portar acqua comeprima. Egli giungeva surosso e stillante di sudore; posava leconchelanciando sguardi di sbieco alla vittima. Orsola si ritiravanell'altra stanza o si curvava sul lavoro stringendo i denti nellacollera repressa. Lindoro se ne andavacome un cane frustato; ma ilpensiero di aver posseduto quella donna gli turbava il sangue: avrebbevoluto ora trascinarsela con sétenerselaesserne il padrone comedi una merce da usare e da vendere. Cupidigia sensuale e avidità diguadagno in lui si mescevano.

Una sera egli aspettò che Camillauscissealla porta di strada; poi salì a precipizio per sorprendereOrsolaper trovarla sola nella casa. Quando egli batté all'uscioOrsola lo riconobbe e si sentì rimescolare.

- Che vuoi da meche vuoi? - chieseella con la voce soffocatasenza aprire.

- Sentimi un momentosentimi! Non averpaura; non ti faccio male...

- Vattenecaneinfameassassino... -proruppe la donnacon una veemenza stridula di vituperiitogliendoil freno a tutto l'odio accumulato contro colui. - Vattenevattene!

Esfinitasi ritrasse nella suastanzasi gettòsu i guanciali mordendoli fra le lagrime.

XIX

Non c'era più scampo. - La figlia diMaria Camastra aveva bevuto il vetriolo ed era morta cosìcon unbimbo di tre mesi nel ventre. La figlia di Clemenza Iorio s'eraprecipitata dal ponteed era morta cosìnella fanga della Pescarina.Bisognava dunque morire.

Quando questo pensiero balenò allamente di Orsolacadeva il pomeriggio. Tutte le campane sonavano aglorianella vigilia del Corpus Domini; grandi tribù di rondinischiamazzavano e turbinavano sul palazzo di Brinasi assembravano aparlamento su l'Arco. Una nuvola rossa sovrastava le casesimileforse a quella che versò bitume ardente su l'empietà di Sodoma.

Orsola al baleno di quel pensiero sismarrìebbe paura. Poi a mano a mano che il sentimento dellavergogna la persuadeva al passoin fondo a lei una sorda ribellionedi vitalità cominciava a levitarele viscere fremevano. Ella d'untratto sentì il rossore e il calore del suo sangue chiazzarle lafrontele guance. Si levòdalla sediatorcendosi le braccianell'agitazione della lotta. Econ un impeto di forza nervosafinalmente uscì dalla stanzaentrò nella cucinacercò su letavole un bicchiere e il mazzo degli zolfanelli. L'odore forte delcarbone le turbava lo stomaco; la vertigine le prendeva il cervello.Ella trovò tutto: mise gli zolfanelli a disciogliersi nell'acqua;rientrò nella sua stanza e nascose in un angolosotto un mobileilbicchiere letale.

- Dio mio! Dio mio!

Ella aveva ora paura di trovarsi cosìsoladinanzi al suo proponimento. Le tornò subitamente nellafantasia il cadavere di Cristina Iorio intraveduto quel giorno mentrelo portavano su la barella alla casa della madre: un corpo gonfio comeun otrecon la melma ne' capellinel cavo degli occhinella boccatra le dita de' piedi violetti...

- Dio mioDio miomorire!

E sussultò come se una mano fredda erigida le si fosse posata sul capo: un brivido le corse tutte lemembrale durò un momento sul cranio con l'impressione di una lamache vi penetrasse per distaccarne la pelle.

- Nonono! - disse con la vocealteratacome se volesse scacciare da sé il contatto di qualche cosaorribile. E andò alla finestrasporse il capo fuoricercando unrifugio.

Ella rimase làinchiodataattonitadinanzi a quella visione d'incendio biblico e a quella tregenda diuccelli neri. Quando si volse un pocointravide nell'ombra dellastanza un bagliore strano: il luccichìo delle mezzelune d'oro su laveste della Madonna di Loreto e il luccichìo delle medaglie. Ebbe ancórapaura; si schiacciò sul davanzale si sporse di più; stette làsenza avere il coraggio di muoversi. Allorain quella immobilitàl'indebolimento serale cominciò ad invaderla; ed ella si strinse latesta grave tra le palmesocchiuse le palpebre.

- Ah!

D'improvviso le si era apertonell'animo uno spiràcolo. - Sìsìella se ne rammentava! Spaconeil magoquel vecchio con la barba lungaquello che faceva i miracolie aveva le medicine per ogni male... Era venuto al paese qualche voltaa cavalcioni di una muletta biancacon due triangoli d'oro agliorecchicon una fila di bottoni larghi come cucchiai d'argento senzamanico. Tante donne uscivano su gli usci e lo chiamavanoe lobenedicevano. Egli aveva guarito ogni sorta di malattie con certe erbee certe acque e certi segni del dito pollice e certe parole magiche.Egli doveva avere i rimedii pure per quella cosa... sìsìlidoveva avere!

E Orsola rivisse in un barlume disperanzamentre il languore saliva saliva. Dinanzi a leile coseannegavano nel crepuscolo; il giorno vermigliopenetrato dalle ceneridella notte vicinamancava in un lento scoloramentosenza contrasti.Una rondinecome un pippistrellopassò radendole il capo. Il sùbitoalito dell'estate le soffiò nella facciale toccò ogni venalescosse fin le radici infime della vita.

Ellacon un moto involontario einconsapevolemise le mani sul ventre e le tenne così un istante.L'indefinito sentimento della maternità le attraversava l'anima. Edal fondomisteriosamenteun ricordo della convalescenza lontana sisvegliò. - Ahera di marzo... una gran bianchezza ridente... e sopradi lei le spiele lanugini molli piovevano.

XX

Così fu che la mattina dopo ella uscìdalla casadi sotterfugio; e s'incamminò sola fuori del paeseperla strada nuova di Chieti.

Nelle vicinanze di San Rocco abitavaSpacone. Sotto la maestà di una quercia druidicaegli compiva imiracoli e formulava i responsi. Tutto il contadoin venti miglia dicircuitoricorreva a luicome a un apostolo della Providenza. Nelleepidemie del bestiame indigenomandre di bovi e di cavalli siraccoglievano in torno alla quercia per ricevere il talismanopreservante dal morbo: le orme delle unghie equine e bovine facevanocome un circolo di incanti su l'erbe semplici del terreno.

Quando Orsola s'incamminòera nellaterra pescarese un gran giuoco d'ombre e di luci. Le nuvole nomaditrasmigravano dalla marina alla montagnacome carovane con buonesalmerie d'acquaper quel cielo arabico del mese di giugno. Aintervallilarghe zone di terra si sommergevano nell'ombraaltrezone emergevano illustrate; ecome l'ombra era turchina e mobilelacampagna così dava apparenza di un arcipelago che galleggiassecopioso di alberi e di fromento. Il canto degli uccelli lodava lamaturità delle biade.

Al primo spettacolo Orsola ebbe uninsolito ristoro; poiché la libertà della campagnala felicitàdella luce sul fogliamegli odori cordiali dell'aria circondandoled'un tratto la persona le mossero il sanguee la nuova speranza inlei al dispiegarsi dell'orizzonte si fortificò ed esultò. Ella sialleggeriva di tutte le angoscevivendo per due sentimenti soliperla speranza della salvazione corporea e pel desiderio di raggiungerela mèta. In fondoalla mètaella vedeva nella sua fantasia sorgereil vecchio benefico e illuminarsi misticamente. Per una nativatendenza superstiziosaella trasformava quella figurala ingigantivae la vestiva di una dolcezza cristianala cingeva il nimbo. Alloratutte le dicerie che correvano tra il volgo le tornarono alla memoriaconfusamente e gittarono sprazzi di luce meravigliosa su la fronte diSpacone. Allora ella si rammentò che Rosa Catenain un giornolontano della malattiaaveva parlato del Vecchio con una reverenzadevota citando miracoli. - Un cieco di Torre de' Passeri era andato aSan Rocco ed era tornato dopo tre dì con gli occhi che ci vedevano econ una cifra turchina su la tempia. Una femmina di Spoltoreinvasadagli spiriti maligniera tornata mansueta come un'agnelladopo averbevuto due sorsi d'un'acqua custodita in una piccola zucca secca.

Così a poco a pocolungo il camminopel concorso di tanti elementi sparsi si venne formando nella mente diOrsola una specie di leggenda. E a poco a pocogiacché nulla possonogli uomini senza l'assistenza di Diosorse anche la persuasione cheil Vecchio fosse un inviato del cieloun redentore delle anime dalladipendenza corporaleun distributore di grazie celesti su la terra aicaduti. - La speranza estrema non era discesa su la peccatriceimprovvisamentequasi per influsso divinofra i segnali accesinell'aria? E nella Pentecoste la colomba non aveva balenato dall'altoagli occhi della preganteun lampo di buona promessa?

La promessa ora si compiva nel santogiorno del Corpus Domini. Orsola dunquetutta calda di fede e digiubiloandava su la polvere della via nuovanon curando la faticadei passi. Ai due latile siepi biancheggiavano come coperte diescrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi sonori stavano su i limiti; e itronchi inargentati riverberavano le variazioni della luce. Lecontadine della Villa del Fuoconaneco 'l naso camusocon lelabbra schiacciatefemmine cafre dalla pelle biancavenivanoincontro a duea tre. Le vicende delle nuvole occupavano l'immensoteatro della campagna.

Orsola passò il Mulinopassò laVilla. Una energia nervosa le animava il passo. Ella si sentivabattere il vento su la nuca e sentiva sul capo a intervalli stormire ipioppi. Ma l'oscillare delle ombre e la polvere cominciavano aturbarle un poco la visione; il calore del moto le affluiva allatesta; la volontà era tutta occupata nell'insolito sforzo materialedell'incedere. Ella così andò innanzi in una specie di stordimentocrescente che si mutava in malessere; evinta dalla fatica e dalcaldosi lasciò allettare da un mucchio di olivi messi in salita asinistra.

Passavano quattro o cinque zingariseminudibronzinicon amuleti luccicanti sul pettoa cavalcioni dicerti asini rossastri. Uno di loro fischiava urtando con le calcagnail ventre della sua bestia. Tutti avevano in mano canne e portavanobisacce di pelle su le cosce. Guardarono la donna rifugiata sotto gliolivi e mormorarono ridendo.

Orsola ebbe paura di quegli occhi chemostravano il bianco nello sguardoe stette sbigottita finché ilgruppo non si allontanò. Lo scoraggiamento incominciava aimpadronirsi di lei; la solitudine cominciava ad esserle paventosapoiché nella campagna correva per lunghi brividi l'annunzio dellapioggia e un silenzio quasi lugubre scendeva nell'aria dalle nuvoleraccolte. Ella s'era appoggiata ad un tronco: freschi soffi intermessile investivano la persona e le gelavano il sudore nei porisoffi cheaccorrevano a lei co 'l fruscìo di un animale furtivo nell'erba;mentre in torno il tremolìo del sole pareva un riverbero d'acquelontane. Pallidi fiori d'un giallo sulfureo facevano onda a pie' degliolivi.

Un ricordo scese allora dai buonialberi su l'animo della donna. - La chiesa era tutta piena di palmebenedette e di aromiquel giorno; ed ella andava tra il popolosorretta dalle braccia di Marcelloin un gran tremore... Macomeella si soffermò in quel pensierole si smarrì la memoria; tutto lesfuggì in una incertezza di sogno. Soltantocolpi sordi le batteronoil cuoresussulti d'angoscia le affannarono il respiro. Ella avevaora la sensazione ottusa di un sopore che le cadesse sul cervello conla pesantezza d'un colpo di maglio. Un resto di volontà vigile lebastò a scuotersi debolmente e a discendere nella strada.

Le nuvole raccolte verso la Maiellaavevano preso il colore diafano e grigio di una massa pendula d'acque.Larghe trombe si avvicinavano dalla marina più cariche; e ancóraqualche azzurro campo si dilatava nell'alto. Un odore di umidità giàsaliva dalla polvereda tutta la campagna ansante nell'aspettazione.Gli alberi immobili parevano assorbire la lucesi levavano anneritiin mezzo alla fumea dell'ariapopolavano di forme incerte lalontananza.

Orsola camminava con una faticaimmensasentendo che le forze stavano per abbandonarla. - Ecco-pensava - arriverò a quell'albero e poi cadrò. - Ma non cadeva. Siscorgevano a destra le case di San Rocco. Un contadino veniva incontro a corsa.

- Buon uomoè quello San Rocco?

- Sìsìvoltate alla primascorciatoia.

Grosse gocce sonanti cominciarono acadere; poi d'un tratto la pioggia crescente rigò l'aria di lunghefrecce bianchedi lunghe sferze che percotendo schioccavano. Unsommovimento mostruoso agitò allora le nuvole: sprazzi di raggieruppero di quadi là. Tutte le collinein fondoa traverso leliste della pioggia si accesero un attimo e si rispensero. Una fievoleserenità d'argento si levò su la Maiellaparve acuirsi come unaspada sottile.

Orsola tentava di correre verso laquercia distante un tiro di schioppo. Le gocce le battevano su lanucale scivolavano per la schienale colpivano la faccia; e già levesti erano tutte molli sino alla pelle. I passi le mancavano sulterreno sdrucciolevole. Ella cadde e si rialzòdue volte. Poiquasifollesi mise a gridare verso la casa.

- Aiuto! aiuto!

Una femmina uscì dalla porta e venne asorreggerlaseguita da due cani che abbaiavano.

Orsola si lasciò condurre senza poterpiù profferire una parola a traverso i denti serratilividacon lafaccia stravolta. Non si riscosse se non dopo qualche tempoper ledomande che l'ospite le faceva. E allorarepentinamenteall'udire ilnome di Spaconesi ricordò di tutto.

- Ahdov'è Spacone? - chiese.

- E' a Popolidonna santa: l'hannochiamato.

Orsola non resse più: cominciò asinghiozzare e a strapparsi i capelli.

- Che voletedonna santa? Che volete?Io sono la moglie; ci son qua io... - miagolava la stregatrattenendole i polsiincitandola a parlare.

Orsola esitò un momento; poi dissetuttoa precipiziotra i singulticoprendosi la faccia.

- Aspettate. Il rimedio c'è; ma costacinquanta soldidonna santa - fece la strega in quel suo idioma tuttomolle di vocalicantando quel bello appellativo per intercalare.

Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto eofferse cinque piccole monete d'argento. Poi aspettòpiù calma.

La stanza era vastama bassa. Leparetisu cui qua e là il salnitro fiorivaapparivano scagliose everdastre. Rozzi idoli cristiani di maiolica popolavano quel fondo dispelonca; forme strane di utensili e di stromenti ingombravano letavole. Era come un aspro santuario custodito da un semplicistamonaco.

La moglie di Spaconedinanzi alcaminocomponeva il suo filtroin silenzio. Era una femmina alta eossutabianchissima in facciaco 'l naso guastovioletto come unficocon i capelli rossi e lisci su le tempiecon due piccoli occhidi albinatatuata nel mentonella frontenel dorso delle mani.

- Eccodonna santa! Coraggio.

Orsola ingoiò il liquidod'un fiato;ma si sentìsubito dopoda un'amarezza atroce mordere il palato ele viscere. Restò con la bocca apertapremendosi il ventre con lemanibattendo rapidamente un piede sul pavimentonello spasimo dellaprima contrazione uterina.

- Coraggiodonna santacoraggio! - leripeteva la stregafissandola con quegli occhi bianchiccisoffregandole le reni. - Avete tempo di arrivare a Pescara... Via!via!

Orsola non poteva rispondere; allabocca non le venivano che urli. I crampi le serravano lo stomacoleirrigidivano i muscoli respiratorile eccitavano il vomito. I bulbivisivi le ruotavano in altocome se ella fosse entrata ne' sintomi diuna convulsione epilettica. In tutto il suo debole organismo lapotenza eccessiva della bevanda operava ora effetti inaspettati. Ilparto falso si produsse quasi d'improvvisocon una di quelleterribili perdite per ove le forze della vita se ne vanno mollementeinsensibilmentefluendo.

- GesùGesùGesù! - mormorava lastregainquietapresa da una sùbita paura dinanzi a quel poverocorpo riverso. - Gesùaiutatemi!

Alle sollecitazioni di leiOrsolarinvenne. E come dopo qualche tempo il profluvio parve arrestarsilameschina si potè levare in piedi; sospinta dalla femminauscire;giungere fino alla strada nuovabarcollandopallida come se non lefosse rimasta sotto la pelle una goccia di sanguema tenuta vivadalla speranza che il maggior pericolo fosse ormai superato.

Ora la campagna era tutta frescamenteluminosa dopo la pioggia. Passava una fila di carretti carichi digessoe i grossi carrettieri di Letto Manoppellopieni di vinosdraiati su i sacchi fumavano. Come Orsola si mise dietro la filaunodi quellil'estremogridò:

- Ohèvolete che vi portibellafigliuola?

Quasi inconscia Orsola si lasciò tirarsu dalle forti braccia dell'uomoe stette così seduta sopra isacchi. Non intendeva le grosse risa e i motti osceni che di carro incarro si propagavano.

Con l'energia dell'istinto teneva leginocchia serrate per impedire al flusso la via. Sentiva a poco a pocouna specie di ottusità occuparle i sensicosì che gli sbalzifrequenti delle ruote su la ghiaia le davano appena un dolor sordo eil lezzo delle pipe le feriva appena le nari. Poi cominciò un susurrolontano agli orecchiun tremante bagliore alla vista. Più volte ellasarebbe caduta se non l'avessero sorretta le mani del carrettierecheincoraggiato dalla muta docilità di lei tentava qualche brutalecarezza.

Il paese di Pescara apparve in cimaalla stradain mezzo al solemandando suoni sul vento.

- Fanno la processione - disse unodegli uomini. Tutti gli altri sferzarono; e la strada risonò sotto iltrotto pesanteal tintinnìo de' sonagliallo schiocco delle fruste.

Quella violenza di scosse e di fragorerichiamò per un momento Orsola al senso della realtà circostante.Mapoiché l'uomo le cingeva i fianchi con un braccio e le soffiavail fiato vinoso nella guanciaella per un cieco impeto si mise agridare e a gesticolare quasi l'avesse presa il delirio. E il fantasmadi Lindoro subitamente le si rizzò dinanzi agli occhi offuscati e potèanco suscitarle il ribrezzo dell'orrore in quel poco di sensibilitàche le restava nei nervi. Appena il carro si fermòdiscese a terradai sacchi scivolando; tentò di muovere i passicon la furiaaffannosa di chi cerchi raggiungere un luogo sicuro per cadere.

Venivano in contro nella strada leverginelle coperte di veli candidicon in mano i cèrei dipintiecantavano. Dietro la torma angelicaun grande sventolìo di drappi edi baldacchini ampliava l'aria beneficata dalla pioggia recente. Ecantavano:

Tantum ergo sacramentum

Veneremur cernui...

Orsolaintravedendovoltò nelvicolo; giunse alla casa di Rosa Catenaentrò; presa dallavertiginecadde in mezzo al pavimento. Ecome il profluvio delsangue ricominciavala paralisi le occupò la metà inferiore delcorpoogni facoltà di moto volontario in lei si spense.

Rosa non era nella casa; la processioneaveva attirato tutto il paesequel giorno. In un angolo della stanzaMuàil padreun mostro di vecchiaia umanaun cieco inchiodato peranni sul legname di una sedia dall'artrite deformantetentavavagamente con la punta del bastone i mattoni intorno a sé perscoprire la causa del rumore improvviso; e un borbottìo bavoso gliesciva dalla bocca sdentata.

Alloraai piedi del mostro orrendoinmezzo al sangue del peccatocon i pollici stretti nei pugnisenzagridala sposa violata del Signore per alcuni attimi si agitò nellaconvulsione mortale.

- Via! Via! Passa via! Via di qua!

Il vecchiocredendo che fosse entratoil mastino del beccaioallungava il bastone per scacciarlo; epercoteva la moribonda